mercoledì 23 marzo 2011

stupa, pagode e monasteri (2)

Lo stupa ( zedi in birmano) ovvero il tumulo funerario è il prototipo per eccellenza del santuario buddhista. Secondo la tradizione canonica Gautama Buddha sarebbe morto nello stesso giorno della sua nascita e della sua "Illuminazione" e le ceneri del suo corpo cremato (in Myanmar non tutti i monaci però si fanno cremare ed abbiamo visto diverse tombe tradizionali) sarebbero state divise in dieci stupa. Circa tre secoli  dopo l'imperatore Asoka le avrebbe fatte riesumare e suddivise in 14.000 parti interrate in vari stupa sparsi nel mondo buddhista. Lo stupa è un edificio a forma di campana e senza spazi interni, alla cui base,  inaccessibili, vengono deposte le reliquie. Negli stupa più importanti le reliquie sono vere e proprie parti del corpo del Buddha (frammenti di ossa, denti o capelli). 
Osservando il cospicuo numero  di stupa esistenti e con minimo buonsenso risulta evidente che in realtà siano ben pochi gli stupa contenenti "autentiche" reliquie del Buddha (mi sono chiesta più volte per esempio quanti denti il Maestro avrebbe dovuto avere), sovente il reliquario contiene  oggetti religiosi sacri o un'antica copia del Tripitaka (il testo più antico del Canone Buddhista redatto dopo la morte del Buddha in pali, la lingua letteraria del sanscrito con i discorsi del Maestro e le regole monastiche) o le ceneri di qualche monaco la cui vita esemplare è di insegnamento a tutti. In fondo penso sia irrilevante verificare se e quali reliquie siano presenti nello stupa, il bisogno di "credere" fa parte della storia dell'uomo e le "leggende" vanno accolte come patrimonio prezioso che alimenta da sempre questo bisogno.
  Il ventaglio religioso-architettonico è larghissimo: si va dagli stupa più piccoli e modesti o non restaurati, quelli che preferisco senza oro e segnati dalle rughe del tempo, al più incredibile e spettacolare di tutti, quello che sta nel cuore della magnificente Shwedagon Paya a Yangon, il luogo più sacro di tutto il paese che ogni birmano sogna di visitare almeno una volta nella vita. Eretto sopra la preziosa stanza  che custodirebbe otto capelli del Buddha, si ritiene risalga a 2500 anni fa, ma  questo paese ha subito diversi terremoti e integrato collettivamente, per formazione religiosa, il concetto di effimero e caducità delle cose umane. Come per quasi tutte le antichità del Myanmar è stato dunque  ricostruito molte volte e la sua forma attuale risalirebbe alla fine del XVIII° secolo.  Inizialmente la costruzione aveva solo una piccola guglia, innalzata nel 15° secolo fino a 98 metri e ricoperta tutta d'oro. E' un tripudio visivo di scintillii multicolori, nella luce del giorno e nel progressivo avanzare della notte l'oro regala mille riflessi. A Shwedagon come in tutte le altre pagode non c'è solo l'immenso  zedi centrale, tutt'intorno un assortimento incredibile di zedi più piccoli, statue, templi, tabernacoli, immagini  ed anche alcuni monasteri adiacenti uno all'altro. Il rivestimento d'oro della parte centrale dello zedi viene rinnovato ogni anno (la tradizione di dorare gli stupa e le immagini del Buddha risale al XV° secolo), grazie alle quotidiane generosissime offerte dei fedeli e l'apice della guglia  è tutta incastonata di migliaia di diamanti e gemme preziose. A guardia degli ingressi ci sono i chinthé, i leggendari "leogrifi" per metà leoni e per metà grifoni, simbolo d'amore filiale.
Per i buddisti non esiste un momento prestabilito per recarsi alla pagoda, tutti i giorni sono indicati, tutti i momenti vanno bene. I pellegrini vengono per adempiere un dovere spirituale e compiere il percorso rituale, la deambulazione circolare intorno allo stupa, si viene per chiedere aiuto in un momento difficile, per ringraziare di una grazia ricevuta, per sentire quella scintilla interiore che l'atmosfera di silenzio e pace del luogo trasmette. Sugli altari del Buddha, in segno di gratitudine per il suo insegnamento si offrono dei fiori, profumatissimi rami intrecciati di gelsomino; i fiori, simbolo della vita per eccellenza, fioriscono ed appassiscono a testimoniare che  nulla è permanente, chiave per accettare ed affrontare le difficoltà con calma e serenità.
  Si asperge di acqua fresca la postazione dedicata al giorno della settimana corrispondente a quello in cui si è nati (ci ritornerò, ma i calcoli astrologici, retaggio induista, sono importantissimi nella vita del birmano). Acqua, sinonimo di purezza, le parole "freschezza" e "pace" hanno lo stesso termine in comune, l'acqua fresca spegne simbolicamente il fuoco della sofferenza. Nella pagoda si può passare giusto il tempo di un momento di raccoglimento, ma anche giornate intere e si prega, si mangia, si medita, si dorme. Fedeli allineati come un corpo di ballo avanzano con le loro scope in mano e tengono il suolo pulito.
Ogni spazio se associato al Buddha diventa sacro. Anche il cosmo è sacro. La cupola centrale di uno stupa sta a simboleggiare il monte Meru, la montagna cosmica buddhista che segna il centro dell'universo. Compiere il giro rituale intorno a uno stupa non è solo rievocare la vita del Buddha, ma anche orientarsi saldamente al centro del cosmo.



Nessun commento:

Posta un commento