lunedì 28 maggio 2012

per la stella di Davide

La grande Sinagoga di via Dohàny
Impensabile per me visitare Budapest e non dedicare un post al mondo ebraico del paese. Lo meritano la bellezza delle sue sinagoghe eclettiche moresche, la visita dell'ultimo ghetto d'Europa, quello di Budapest, che comprendeva 162 edifici situati nelle varie strade intorno alla grande sinagoga, lo suggerisce la vivacità di una grande comunità integrata da secoli nel tessuto sociale del paese, lo esigono, per dovere di memoria e di testimonianza, quelle 560.000 vittime, morte assassinate nel brevissimo arco di qualche settimana, a fine '44, chi per  freddo,  fame,  malattie,  vessazioni, chi nelle "marce forzate, chi gettato nel Danubio, chi ad Auschwitz-Birkenau.

la Sinagoga di via Dohàny
 La presenza ebraica in Ungheria è antichissima, precedente all'arrivo dei magiari; certe pietre tombali esposte al Museo ebraico attinente la grande sinagoga datano del III° secolo, vestigia di quel territorio che era allora la Pannonia romana. Nel corso dei secoli gli ebrei d'Ungheria hanno conosciuto l'alternarsi di periodi di tolleranza e d'oppressione come è successo in tutta l'Europa e finalmente col Compromesso del 1867 (  ovvero l'istituzione della doppia monarchia: l'Impero d'Austria e il Regno d'Ungheria" con le due rispettive capitali Vienna e Budapest) agli ebrei viene riconosciuta l'"emancipazione" e diventano cittadini della nazione che li ospita a tutti gli effetti.
 Secondo un censimento del 1941, la popolazione ebraica in Ungheria contava 825.000 persone, 200.000 nella sola capitale. Tra il 1938 e il 1941 viene varata dal governo  una legislazione antiebraica dal punto di vista dei diritti civili, precettata la popolazione maschile ai lavori forzati; circa 4000 ebrei ungheresi sono morti per le fatiche del lavoro coatto prima dell'occupazione tedesca e un gruppo di 20.000 ebrei stranieri è stato deportato fra luglio e agosto 1941 in Ucraina, a Kamenets-Podolski, dove provvedono all'uccisione le Einsatzgruppen.

Volendo però mantenere la propria autonomia rispetto all'alleato tedesco, il governo ungherese non consente di applicare le decisioni prese alla conferenza di Wannsee per la deportazione e lo sterminio della popolazione ebraica dell'Europa nazista, a Hitler l'Ungheria non "consegna i suoi ebrei" che si sentono in qualche modo salvaguardati.
Nell'aprile 1944, poche settimane dopo l'invasione tedesca del 19 marzo, tutti gli ebrei del paese, tranne a Budapest, sono costretti a trasferirsi in ghetti sotto la sorveglianza della Polizia ungherese che ha sempre fatto più che zelantemente il suo dovere. In maggio iniziano le deportazioni sistematiche verso Auschwitz: 440.000 ebrei distribuiti su 147 convogli  organizzati da un comando speciale sotto la personale guida di Adolf Eichmann. Proprio per "smaltire" questa fiume umano in arrivo dall'Ungheria, i due scali  esterni al campo e vicini alla stazione di Oswiecin non saranno sufficienti e ad Auschwitz si provvederà a costruire una terza rampa di sbarco, le rotaie della ferrovia porteranno il convoglio  direttamente all'interno del campo di concentramento.
Ancora per poco rimarrà solo la comunità di Budapest. Dietro pressione alleata Horthy ordina in luglio la sospensione delle deportazioni e inizia a negoziare con i sovietici nell'ottobre del '44. Molte persone, come il diplomatico svedese Raoul Wallenberg, lo svizzero Carl Lutz e l'italiano Giorgio Perlasca, nonchè le organizzazioni cristiane e la Croce Rossa Internazionale prestano il loro aiuto salvando decine di migliaia di persone.

Prima della firma dell'armistizio, i tedeschi arrestano Horthy e membri del partito filo nazista delle Croci Frecciate provvedendo poi con inaudito terrore all'ultima massiccia eliminazione, quella degli ebrei di Budapest. Il bilancio delle vittime ammonta a 560.000 persone, delle quali 60.000 prima dell'occupazione tedesca e 500.000 prima della fine della guerra. (Ho attinto notizie e dati da schede documentali del CDEC, il Centro di Documentazione Ebraico).
 Eppure gli ebrei ungheresi erano profondamente integrati, felicemente assimilati alla realtà locale, si sentivano "ungheresi", costantemente attenti a mostrare al paese il loro legame patriottico. Lo dimostra per esempio l'interno della Grande Sinagoga, quella di via Dohàny, la più grande d'Europa che può accogliere 3000 persone, restaurata negli anni 90 grazie a fondi privati, in particolare quelli della regina dei cosmetici Estée Lauder nata a New York da una famiglia di emigrati ebrei ungheresi.
Appena entrata sono rimasta colpita dallo splendore e nel contempo ho percepito qualcosa di strano, senza individuarne subito la ragione. E' emerso presto che agli elementi tradizionali ebraici come la luce perenne, i matronei, si accompagnano l'organo, elemento assolutamente insolito, i rotoli della Torah nell' Arca dell'Alleanza posta su un altare  da chiesa, i pulpiti, gli scranni e soprattutto la forma architettonica, non quadrata ma a tre navate e la cupola centrale proprio come in una basilica gotica. Si, sembra di essere in una "cattedrale ebraica" come giustamente si è soprannominata questa sinagoga. Non casuale la scelta dell'architetto da parte degli emancipati ebrei di Budapest, si tratta di un progetto del 1855 del viennese  Ludwig Foerster, gran specialista di chiese.
 Prettamente ungherese,  l'ebreismo "neologo" che ignoravo totalmente, corrente di interpretazione progressista sviluppatasi a metà dell'800 e che sembra rappresentare un altro indice del desiderio di modernità e di integrazione del mondo semitico locale. Annesso alla sinagoga e divenuto ora museo, l'edificio dove è nato il padre del sionismo moderno Theodore Herzl.

 All'aperto, sul lato nord della sinagoga e dopo aver attraversato il giardino centrale diventato cimitero dei martiri,  c'è il Memoriale dell'Olocausto, un Salice Piangente in acciaio e argento opera del 1990 dello scultore Imre Varga; sulle 4000 foglie sono incisi 34.000 nomi. Quei nomi continuano a vivere nel cuore e nella memoria di parenti e amici che sostengono la Emanuel Fondation, sponsor dei luoghi, creata per ricordare il padre da Tony Curtis, l'indimenticabile protagonista con Jack Lemmon e la mitica Marylin di "A qualcuno piace caldo".
Bella anche se vista solo dall'esterno la Sinagoga Ortodossa, straordinaria invece quella moresca di via Rumbach costruita nel 1872 dall'architetto Otto Wagner, insigne capofila della Secessione Viennese. Sono ancora in corso lavori di restauro, ma è possibile l'accesso e ne vale veramente la pena.
Clou finale della prima giornata tutta ebraica  del soggiorno a Budapest con le amiche, il concerto di musica kletzmer e l'ottima cena al caffé Spinoza dove ai tavoli si sentono parlare tutte le lingue, presenti anche molti israeliani. Bella idea del nostro tour operator Gastone averci portato qui, grazie di cuore. Per strada, pattumiera da buttare, un letto sgangherato e una scatola vuota di pane azzimo, siamo proprio in zona ghetto.
Attualmente in Ungheria, soprattutto concentrati a Budapest, vivono circa 100.000 ebrei. Sono preoccupati,  alla peggior crisi economica che il paese attraversa dalla caduta del comunismo si accompagna il pericoloso crescente successo di Jobbik, partito di estrema destra dichiaratamente antisemita e antirom che alle ultime elezioni ha preso il 17% dei voti e l'attuale primo ministro Victor Orban del maggioritario partito Fidesz da posizioni progressiste si è spostato sempre di più in area conservatrice perseguendo una politica di nazionalismo spinto. Il paese è ora  certamente democratico, ma le vecchie paure sono purtroppo sempre in agguato. Le ricordano costantemente quelle scarpe di metallo inserite nel calcestruzzo create nel 2005 da Gyula Pauer e Can Togay  sulle sponde del Danubio proprio vicino al Parlamento, simbolo per eccellenza delle libere scelte di un popolo. Questo Memoriale, profondamente toccante e significativo nella sua drammatica semplicità, commemora quelle uccisioni in massa del '44-45; le vittime dalla stella di Davide appuntata al petto venivano allineate sull'argine del re dei fiumi e fucilate verso l'acqua; molto pratico, nemmeno la fatica di dover seppellire i corpi, il fiume silenzioso sa inghiottire. Il museo dei Diritti Umani a Santiago, Tuol Slang a Phnom Penh, la Topografia del Terrore a Berlino, la Casa del Terrore a Budapest e queste scarpe sulle rive del Danubio: nel mio girovagare non mi toccano solo cose belle e ogni volta si riaffacciano quelle terribili parole di Primo Levi ....ditemi se questo è un uomo.....

2 commenti:

  1. Molto bello... Anche se sono dolorose, mi mancano le traccie del passato, cui non ce ne sono proprio.. Baci cari. Ale

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  2. quelle scarpe sull riva del danubio parlano di uomini, di donne, di bambini e di futuro negato dalla brutalità di cui gli essere umani sono purtroppo capaci: doloroso ma imprescindibile ricordare!
    insieme a quella memoria che strazia il cuore si apre uno spiraglio di speranza ricordando anche chi in quella notte oscura ha saputo scegliere di battersi per salvare il futuro di tante persone.
    ti abbraccio, liliana

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