mercoledì 7 novembre 2012

Giappone: estetica e sapori


Per quanto riguarda l'estetica, un vero plauso, voto trenta e lode, mai visto una tale varietà e raffinatezza di preparazioni e presentazioni. I pasti propostici nei ristoranti si componevano di più portate sorprendenti e di quantità molto misurata, presentate in modo ogni volta diverso, in foglie, ciotole di lacca, legno o porcellana dalle forme più svariate, una vera festa per gli occhi in accordo con l'attenzione peculiarmente giapponese del rispetto di tutti i sensi.

Altra cosa apprezzabilissima è che il personale è sempre gentilissimo e ti serve con una rapidità sorprendente.
Veri capolavori artistici certe carotine tagliate a stella, i petali di un fiore nell'angolo del piatto, la macchia di colore di un' erbetta che galleggia sulla zuppa miso, i gamberi disposti come ballerine di french cancan.  E' tra l'altro una cucina molto sana, non a caso i giapponesi sono  i più longevi del mondo e se non vado errata hanno  la casistica più bassa di tumori  all'intestino; tantissimo pesce crudo e cotto, alghe, verdure, pochissimi grassi e anche la frittura del classico "tempura" è leggerissima, niente sale perchè al sapore provvedono le varie salsette a base di soja, riso e niente pane che gonfia e fa ingrassare.

Divertente e pure salutare per un'europea come me lavorare di bacchette, perchè la mancanza di maestria nel maneggiarle obbliga ad assumere piccole quantità e a mangiare molto più lentamente invece di trangugiare a tutta birra.

Per quanto riguarda i sapori, e naturalmente il mio è un parere strettamente personale, è tutta un'altra storia. Lo so che la cucina giapponese adesso va molto di moda e che i sushi bar impazzano, senza andare molto lontano c'è mio figlio Marco che mangerebbe giapponese tutti i giorni, ma io in materia ho le mie difficoltà, per esempio con i ceci infilati nei bastoncini che sembrano olive o capperi giganti e a parte rare eccezioni, proprio non mi piace.

Provvedeva la guida Hai a fare le ordinazioni per tutti per farci assaggiare le varie specialità e una volta ho avuto un sussulto di gioia vedendo arrivare un bel vassoio di spaghetti neri, ho naturalmente pensato al nero di seppia e mi sono rallegrata.  -Peccato signora Longari!- avrebbe detto il nostro Mike Bongiorno nazionale, quel nero erano alghe e gli spaghetti assolutamente gelidi, manco fosse gelato. Delusione cocente! Un'altra volta mi sono vista arrivare sic et simpliciter una testa di pesce con tanto di occhi vitrei; l'ho osservata a lungo ma non ce l'ho fatta a mangiarla, i compagni mi hanno riferito che era una prelibatezza, le guance in particolare. Gastone se n'è fatta due.


Comunque non tutto è perduto, la globalizzazione apre nuove speranze, oltre ai vari Prada, Tod's e Gucci che imperversano nei negozi del sol levante, sulla facciata esterna del superlussuoso grande magazzino di fronte al nostro albergo a Kanazawa, c'era un bel manifesto  di spaghetti con le vongole penso "alla maniera de' noantri" e guardandolo mi sono consolata.

Originalissimi certi ristoranti, come quella volta che a Kyoto ci siamo ritrovati tutti seduti intorno a un grande acquario, in mezzo nuotavano i poveri malcapitati che un solerte cuoco andava a pescare per la besogna, o la grande sala tutta per noi di una locanda  tradizionale a Takamatsu dove tutti in kimono, tranne la refrattaria sottoscritta, abbiamo fatto conoscenza della testa di pesce.

Per concludere la carrellata nippo-gastronomica non posso non parlare del favoloso mercato di Kanazawa. A parte la sorpresa per quelli che sembrano pomodori perini carenti di sole e  invece sono cachi, l'attenzione si è soprattutto concentrata sulle ricchissime bancarelle di pesce, ordine e pulizia semplicemente incredibili, impossibile il paragone con altri mercati del mondo. 



C'è di buono che i giapponesi vecchi e giovani apprezzano, eccome se apprezzano!!! Sorridono e mangiano a quattro palmenti.
Per quanto mi concerne e lo confesso senza problema, i sushi che preferisco sono di plastica,  delle presentazioni stupende più veritiere del vero davanti alle vetrine di tutti i ristoranti. A Tokyo l'ultimo giorno siamo finiti in un quartiere d'artigianato locale, impossibile ricordarmi il nome, e c'era solo l'imbarazzo della scelta. La mia preferita era una composizione di pesce misto sopra un vassoio di legno con bastoncini sospesi, ma costava un patrimonio, neanche ci fosse lo zampino di Andy Warhol; mi sono accontentata di un plateau di sushi vari che piazzerò su un tavolino in sala come contemporaneo capolavoro di pop-art. 



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