venerdì 3 maggio 2013

Las Vegas: tutta vera, tutta finta

E chi se lo aspettava di vedere ufo e alieni in lande desolate del grande ovest americano? Cosa c'entrano? Che c'azzecca? -Veramente originali questi americani, cosa non s'inventano per il business e per vendere due hot-dog- penso inizialmente.
 E invece no, c'entrano eccome perché in direzione di Las Vegas traversiamo il montagnoso Mojave Desert, dove è avvenuto nel 1947 quello che viene chiamato come "l'incidente di Roswell", secondo le fonti ufficiali lo schianto al suolo di un pallone sonda nel quadro di un'operazione della United States Air Force.
 L' episodio all'epoca fece scalpore per le prime notizie divulgate dai giornali e tuttora sostenute da ufologi e appassionati della materia secondo cui si sarebbe invece verificato lo schianto di un UFO e il presunto recupero di materiali extraterrestri. Non so esattamente quale strada percorrevamo noi, ma scopro che la Route 375 si chiama addirittura Extraterrestrial Highway. Il nipote Marco dice che esiste un gruppo  statunitense di hip hop, gli Hangar 18, che hanno fatto una famosa canzone sull'argomento. Figuriamoci se li conosco, le mie conoscenze si arrestano ai Beatles. Negli anni '60, in pieno periodo di guerra fredda, nel Mojave Desert si sono fatti anche esperimenti nucleari, ma preferisco non pensarci e ammirare le montagne che sembrano dei maglioni a losanghe.

Accanto agli alieni il ristorante greco dove pranziamo e fra dolmades,  formaggio feta e tzaziki ci si informa dei 10.215 chilometri che ci separano da Atene. Buono a sapersi, ma con tutte quelle statue fuori e all'interno, Prassitele sembra essere passato da queste parti.
E poi all'improvviso, in the middle of nowhere fra terra, sassi e brume si intravede in lontananza Las Vegas, è il caso di tenere gli occhi ben aperti perché lo spettacolo ha inizio.

Certo potrei parlare del "vero" terribilmente "finto" che rappresenta l'anima di Las Vegas frequentata da più di 37 milioni di persone all'anno che investono e perdono non so quanti miliardi dei loro risparmi ai tavoli da gioco di The Strip, la più recente e Fremont Street, il nucleo storico pieno di Wedding Chapel per matrimoni veloci e indolori, praticamente le due arterie che formano il cuore della città. Potrei parlare del kitsch che regna sovrano in questa metropoli  programmata a tavolino a inizio '900 dalla compagnia ferroviaria Union Pacific.

Pare che nel solo maggio 1905 siano stati venduti all'asta più di 1200 lotti di terreno a prezzi irrisori e che la città debba la sua crescita smisurata e la sua prosperità alla legalizzazione del gioco d'azzardo avvenuta nel 1931 e alle performances negli anni dei più grandi artisti, dal mitico Elvis a Nat King Cole, da Frank Sinatra e Dean Martin a Céline Dion, David Copperfield e le Cirque du Soleil che si esibiscono attualmente.
Potrei parlare del tempo che nelle sale da gioco di Las Vegas sembra perdere le sue connotazioni abituali. Al piano terreno degli alberghi dove si trovano tutti i casinò non ci sono finestre né orologi, nulla deve distrarre dalla concentrazione al gioco, un raggio di sole o la prima stella rammenterebbero al giocatore il numero di ore passate davanti alle macchine infernali  o allo chemin de fer. All'interno dei vari alberghi ci sono strade e negozi e il cielo non cambia mai, è sempre lo stesso, azzurro e disseminato di nuvole, ma si tratta di stoffa. Il senso del tempo è lungo le strade, sullo Strip, è là che ritornano il giorno e la notte mutando magicamente lo skyline della città, il profilo di palazzi e grattacieli  in una tale sfavillio di luci che è meglio non pensare al consumo energetico e godersi lo spettacolo.



Statua della libertà in gesso e per i golosi una tutta ricoperta di smarties colorati dall'anima di cioccolato.

Potrei anche fare una riflessione sulla solitudine alienante delle persone mute per ore ed ore davanti a tasti e leve di una macchina altrettanto muta nell'attesa dell'improvviso tintinnio delle monete che cascano. Con nostalgia il pensiero vola inesorabilmente a quando accompagnavo papà nelle sue serate davanti alla roulette in casinò storici come Venezia, Montecarlo o Nizza. Non ho mai giocato né subito il fascino del rischio, ma adoravo quei saloni pieni di fascino, osservarne i frequentatori e immaginare le loro storie, ancora nelle orecchie la voce del croupier in smoking e non improbabili ragazzotte discinte pronunciare "rien ne va plus" davanti all'imperscrutabile girare della roulette.
No, preferisco lasciare ad altri approfondite disquisizioni sociologiche sul mondo di Las Vegas, perché questo mondo, per lo spazio brevissimo di 48 ore, mi ha divertito tantissimo e se gioco ha da essere, che gioco sia. Mentre anni fa non avevo apprezzato Disneyworld a Orlando, un parco giochi chiuso e pieno solo di giostre che non amo fare, Las Vegas è una vera città, una vera città "finta" se vogliamo, ma dove l'occhio trova mille sollecitazioni e non sai cosa guardare per primo. Alloggiavamo all'hotel New York,New York, montagne russe da brivido a fianco, dalla finestra della stanza la vista di un castello incantato e della torre Eiffel tutta illuminata.
In fondo non serve viaggiare per il mondo,  Las Vegas offre un assaggio concentrato del globo, magistralmente ricostruito meglio che a cinecittà, basta entrare ed uscire da un albergo all'altro come ha fatto la sottoscritta. Piramidi, sfingi  e faraoni? Sfarzi del favoloso lontano oriente? Pirati su vascelli corsari? Giungla misteriosa? La magica Parigi? Cowboys in piena atmosfera saloon?  Signore e Signori si accomodino, ce n'è per tutti i gusti. E l'Italia francamente la fa da padrone con ben tre località, Roma, Venezia e Bellagio. 
 
Il Caesar Palace è immenso, davvero una città nella città, di che credersi con fedele ricostruzione storica nell'antica Roma: Bacchi, Veneri, Nettuni, Cupidi, putti, busti di filosofi, senatori, imperatori, fontane, piazze, triclini e pepli. Nessuno, proprio nessuno manca all'appello e naturalmente presente anche Cleopatra.

Per finire in bellezza la serata, i giochi d'acqua con la voce del mitico Sinatra in sottofondo nel "laghetto" di tre ettari di fronte all'hotel Bellagio. Certo non sarà il lago di Como ma bisogna riconoscere che 'sti americani a modo loro ce l'han messa proprio tutta e pazienza per i poveri austeri mormoni, primi pionieri dell'area nel lontano '800, che sicuramente si stanno rigirando nella tomba per questo luogo di sperpero e perdizione, una Sodoma e Gomorra dei nostri tempi.


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